La scorsa settimana sono caduta dalle scale. Uscivo da casa di amici, pioveva e mentre mi concentravo per aprire l'ombrello, ho appoggiato male il piede e 'tutti giù per terra', come nella filastrocca dei bambini.
Sono atterrata in ginocchio a metà della scala, che conta diciassette gradini e mi chiedo: non se ne poteva fare uno in più o uno in meno? Insomma, il diciassette è particolarmente infausto, ci vuole proprio un senso dell'umorismo perverso per non cambiare il numero...
Pur essendo planata in ginocchio, ho comunque riportato una serie di lividi dal ginocchio alla caviglia a distanza gradino. Fantozziano. Se la racconto in giro mi chiedono: ma come fai? Non lo so. Ognuno nasce con un talento e forse questo è il mio, per quanto insano e bislacco. A volte penso che capitino solo a me.
Forse è solo distrazione o stanchezza, ma quest'anno è già la seconda volta che mi capita. La prima, all'inizio dell'estate, stavo uscendo da un bar in centro, metto male il piede anche quella volta e giù io... essendoci solo un gradino, però, di lividi ne ho riportato uno solo, sul ginocchio che ha frenato la caduta... Una figuraccia da non crederci.... un male al ginocchio da piangere...
Di certo ora so che il detto 'quando cadi vedi tutta la vita che ti passa davanti' è parzialmente vero. Quando sono caduta dalle scale, nel momento stesso in cui ho sentito che il piede non aveva incontrato il gradino, già vedevo che stavo volando giù e già pensavo oddio no, no... ho letteralmente visto quanto male avrei potuto farmi, e cosa avrei potuto fare per aggrapparmi al corrimano e ho anche pensato che avrei voluto tornare un passo indietro per stare più attenta e tutto nello spazio di una frazione di secondo. Giusto il tempo di cadere. Una cosa strana. La mente e i suoi percorsi.
La volta del bar mi sono rialzata subito, posto pubblico, si pensa subito alla figura mai al male che ci si è effettivamente fatti. Qualcuno, ricordo di aver visto con la coda dell'occhio, ridacchiava pure e io pensavo che mi ero fatta davvero male, che atterrare sul cemento a peso morto non corrisponde all'idea di divertimento di nessun essere umanoo sano di mente e che, a voler ben guardare, non c'era proprio niente da ridere. Semmai, c'era da chiedere se avevo bisogno di qualcosa, magari ridendo, si, ma almeno chiedere, ma pazienza... Questa volta delle scale mi sono tirata su e poi seduta sui gradini malefici e ho sospirato, mi sono accertata di essere ancora integra e funzionale, ho pianto, più per il fatto di essere così maldestra che per il male, poi mi sono alzata e me ne sono andata, pensando...
E mi è venuto in mente un libro che lessi tanti anni fa, si intitolava 'Diario di una sciamana di città', di Corine Sombrun. In qualche punto del libro l'autrice scriveva che 'per i Mongoli il fatto di tagliarsi o di avere un incidente è segno di un'anima in disordine'.
Mi sono chiesta se fosse il mio caso. Il nostro disordine interiore che si trasforma in disordine, caos e sventatezza esteriore. E cadi. O ti tagli. O sei distratta. E allora cadi. O ti tagli.
Può essere, mi sono detta. Penso che la cosa nasconda un fondo di verità. Proprio perchè prestiamo poco orecchio alle esigenze della nostra anima, del nostro inconscio, o perchè abbiamo perso ogni connessione con il nostro io più nascosto, quello richiama la nostra attenzione con atti sovversivi.
Effettivamente la mia anima è un po' agitata ultimamente. Ne ho già scritto, non mi dilungo. Un periodo un po' di fatica, come se le cose e le situazioni avessero i contorni sfilacciati, confusi, poco chiari... ne ho preso atto, sono convinta che sia solo una fase da attraversare. Capita di passare delle fasi in cui forse bisogna fermarsi per riflettere, per fare il punto della situazione, per vedere dove si sta andando, se la strada è giusta, o anche solo per ricaricare le batterie e ripartire più centrati e concentrati, così da vedere bene dove si mettono i piedi...