E' iniziata la stagione della raccolta delle olive, quelle che poi diventeranno olio.
In questi mesi gli ulivi si sono rivestiti di piccoli frutti neri, e bisogna avvicinarsi all'albero per vederli occhieggiare qua e là sui rami ed è un piccolo miracolo per me, che non li avevo mai visti prima d'ora, e che ho seguito il percorso delle piante dalla potatura ad oggi.
Per prima cosa si stendono delle grandi reti verdi, come il velo da sposa che sceglierei se fossi rimasta una sirena, si allungano ai piedi degli alberi e un lembo di una rete va sopra a quello dell'altra. Poi si prende l'abbacchiatore, un bastone con all'estremità due forcelle con denti non appuntiti azionato da un compressore e si inizia a 'pettinare' l'albero per scuotere le fronde e far cadere le olive, che finiscono sulle reti sottostanti.
Fatto questo, si inizia a raccogliere le reti e il rumore delle olive che si spostano è un fruscio spesso, una musica ruvida. Quando le olive sono state raccolte in un mucchio, le si sposta in una cassetta.
E si ricomincia.
E' faticoso. Molto faticoso. Ma gratificante. A contatto con la terra, scaldati dall'ultimo sole di ottobre e col pensiero dell'olio che poi si userà in cucina.
E il bello è che non c'è traffico, non c'è musica assordante o rumori molesti o gente che grida.
Solo il rumore degli abbacchiatori e dei trattori accesi per i compressori.
Una fatica rigenerante.
A sera, stanchi morti, si va a letto doloranti in ogni dove (anche in parti del corpo delle quali non si sospettava l'esistenza), ma in pace con il mondo. In pace con se stessi.
Chiunque avesse l'opportunità di andare a cogliere le olive, la colga questa opportunità, senza pensarci troppo. Con allegria e umiltà. Con la voglia di immergersi nella natura per un giorno, di cambiare confini e orizzonti.
Ci sarà solo da meravigliarsi. Di se stessi e della natura.
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